AVERE CURA DELLE PAROLE, QUINDI AVERE CURA DI SÉ

AVERE CURA DELLE PAROLE, QUINDI AVERE CURA DI SÉ

Quando, qualche anno fa (precisamente il 13 febbraio 2016, al Palazzo del Monte di Pietà a Vicenza), ebbi l’onore di moderare la presentazione, fatta dall’autrice, Michela Marzano, del suo libro Papà, mamma e gender (Utet, 2015) – la presentazione era stata organizzata dall’ArciGay e dalla Libreria Galla – nell’introduzione che feci volli sottolineare il fatto che l’autrice aveva citato il seguente passo di Albert Camus: << Nominare in maniera corretta le cose è un modo per tentare di far diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo. >> Era per me molto significativa questa citazione perché, sottolineavo, uno dei grandi meriti del suo libro era, ed è, quello di mettere ordine, di fare chiarezza, con il rigore terminologico e concettuale della filosofa di spessore, sul significato di certe parole e su certi concetti, distinguendo ciò che va distinto.

Bene, è per me altrettanto significativo ritrovare quel passo di Camus all’inizio del libro di Andrea Marcolongo, Alla fonte delle parole (Mondadori, 2019). Anche questo libro esprime un’idea con cui sono profondamente in sintonia: un aspetto fondamentale dell’attività di aver cura di sé e di aver cura dell’altro – attività che realizzo come counselor filosofico – è quello di aver cura delle parole, di aver cura delle parole che usiamo

Aver cura di sé e dell’altro non può non passare attraverso un aver cura del linguaggio, delle parole, che si caratterizza come un pensare le parole che diciamo affinché del loro significato si sia consapevoli e affinché tali parole siano fedeli al fenomeno di cui parlano e non lo occultino; affinché tali parole custodiscano la verità del reale; affinché tali parole esprimano il significato dell’esperienza, il nostro pensare e il nostro sentire; affinché il linguaggio consenta di intessere relazioni. 

Questo aver cura delle parole si può realizzare esercitandosi su di esse, come fa Marcolongo con il suo libro, oppure pensandole attraverso la lettura, come si può fare leggendo appunto il libro di Marcolongo, oppure pensandole attraverso il dialogo, come si può fare incontrando un counselor filosofico.

Queste le significative parole che presentano il libro nel risvolto di copertina:
<< 99 parole per riappropriarci del mondo. 99 parole per ritrovare una voce che altrimenti rischia di farsi troppo flebile e perdersi tra la fretta e la sciatteria di questo nostro nuovo secolo. 99 parole per ribellarci alla confusione e al buio che ci travolgono quando rimaniamo muti di fronte al presente. 99 parole per ritrovare noi stessi. Andrea Marcolongo ha scelto le sue personali 99 parole. E di ognuna di esse, con eleganza e leggerezza e allo stesso tempo infinita cura, ricostruisce il viaggio. Le parole sono il nostro modo di pensare il mondo, il mezzo che abbiamo per definire ciò che ci sta attorno e quindi, inevitabilmente, per definire noi stessi. Ogni volta che scegliamo una parola diamo ordine al caos, diamo contorni e corpo al reale, ogni volta che pronunciamo una parola essa è riflesso di noi. Ci rivela. Senza il linguaggio non faremmo che brancolare scomposti nella confusione, incapaci di dire la realtà e ciò che sentiamo. Proprio per questo delle parole dobbiamo avere estrema cura. Sono un giardino da coltivare con pazienza ogni giorno, da mantenere fertile e vivo, fino alle sue radici. Ma come ci si prende cura delle parole? Innanzitutto riappropriandoci della storia, appunto, delle loro radici, dei loro significati originari, seguendo il viaggio che un termine ha percorso per arrivare fino a noi, seguendo le sfumature di senso, gli slittamenti che nel corso dei secoli e attraverso i luoghi esso ha subito, ricostruendo così la storia di noi e del nostro leggere e rappresentare il mondo. Tutt’altro che sterile e fine a se stessa è l’arte di ricostruire le etimologie. È lente per mettere a fuoco chi siamo stati, chi siamo. E chi vogliamo essere. Quanto ha viaggiato una parola prima di arrivare fino a noi? Da dove è partita? Quanti luoghi ha toccato influenzando altre lingue e quanto a sua volta è stata modificata? Forse non c’è lezione migliore di quella che ci offrono le parole, per loro natura "viaggianti", che di movimento e mescolanza da sempre fanno una ragione di sopravvivenza. >>

(L'immagine di questo post: "Il Buddha", di Odilon Redon)


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